Avamposti post-umani nel vuoto demografico
Dalla decrescita demografica alla rinascita post-umana: esodi digitali, autonomia biologica e silicio rurale.
Le nazioni si svuotano e il futuro sembra marcire nei neon delle grandi città; i morti affollano i cimiteri mentre le crepe sui muri dei reparti di natalità ci ricordano del lento, ma progressivo, declino demografico. Personaggi come Elon Musk da tempo discutono pubblicamente della questione come un rischio esistenziale. L’umanità sta morendo, in particolar modo quella che noi definiamo come “occidentale”. Muoiono più persone di quante ne nascano, ed è solo un anticipo di ciò che accadrà tra meno di 10 anni. L’accelerazione sarà palese.
Ma nel collasso potrebbero celarsi anche delle occasioni e rivelazioni di rinascita e riconquista. Non saranno per tutti, ma solo per chi avrà il coraggio d’intrecciare un’esistenza naturale col silicio.
La fine della piramide demografica
La famosa “piramide demografica” ha ormai assunto la forma grottesca di un butt plug statistico. Quando l’ultima ondata di baby boomer entrerà nella settima e ottava decade di vita, la curva discendente inizierà finalmente la sua caduta in picchiata. L’evidente surplus di giovani uomini rispetto alle donne, farà il resto. Già oggi, ogni anno il saldo tra nascite e decessi si sbilancia di circa 350.000 unità a favore dei secondi.
L’Italia è l’esempio che mi viene più facile, essendo io italiano. Come detto, però, non è solo un problema nostro: riguarda da vicino anche ogni altro paese europeo, gli Stati Uniti, il Giappone e perfino Cina e India. Nessuno escluso, tranne le popolazioni africane.
Perfino la crescita demografica cinese è diventata negativa nel 2022 per la prima volta, con un ritmo in evidente accelerazione. Guardando sempre a est, il Giappone è un esempio paradigmatico: in decrescita demografica da più di 15 anni, ha perso più di 800.000 persone nell’ultimo anno. Si stima che nel paese del Sol Levante ci siano già più di 9 milioni di case disabitate.
L’esempio giapponese è anche utile a visualizzare la distorsione nel tempo della piramide demografica.
Per quanto riguarda invece l’Europa, il panorama è più frastagliato. Si stima comunque che entro il 2050 ci saranno circa 40 milioni di persone in meno. Le stime per l’Italia invece parlano di una possibile perdita di circa 1/6 della popolazione nei prossimi 25 anni.
Intere zone rurali, specialmente nel Vecchio Continente, si svuoteranno. I borghi medievali, incredibilmente numerosi e che tanto piacciono ai turisti, si trasformeranno in cimiteri, e i loro campanili smetteranno di suonare.
Future megacity e desolazione ai margini
La maggior parte delle persone, in particolare giovani alla ricerca di istruzione e lavoro, fuggiranno dal presagio di morte per rifuggiarsi nelle grandi città — sempre più affollate.
Qui le masse saranno attirate dai miraggi del comfort artificiale, dei facili intrattenimenti e dalle opportunità di lavoro e di relazioni sessuali e amorose. Le nuove megacity saranno centri gravitazionali per università, startup, grandi corporazioni e potere governativo, in un mondo altresì sempre più desolato, vuoto e decadente.
Con la concentrazione urbana arriverà anche il consolidamento del controllo statale.
È nei grandi centri urbani che ci sarà bisogno di contenere i conflitti sociali derivanti dalla socializzazione forzata, dal melting pot e dalle nevrosi al neon. Lo Stato non riuscirà a gestire le zone più rurali e lontane dalle grandi città, che saranno quindi condotte alla morte demografica per non sprecare preziose risorse.
Non è una mia congettura, ma la posizione ufficiale del governo italiano (nonché l’unica possibile). Nel “Piano Nazionale per le Aree Interne 2021-2027” si legge nero su bianco:
“Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza, ma devono essere accompagnate in un percorso sincronizzato di declino e invecchiamento”.
L’obiettivo è quindi accompagnare le zone più rurali e periferiche del Paese verso un declino sincronizzato, evitando di sprecare le poche risorse pubbliche a disposizione per tentare inutilmente di invertire la tendenza.
Per molti versi si prospetta un dramma sociale che metterà in crisi lo status quo a livello globale.
Eppure, il picco del crollo demografico incrocerà l’ascesa verticale dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie robotiche. Una collisione propizia senza precedenti tra carbonio e silicio che potrà essere occasione di rinascita dalle ceneri di un mondo allo sfascio.
I Vecchi dell’Alpe
Ora, lasciamo per un attimo le masse al loro destino.
Proviamo invece a immaginare una ristretta minoranza di individui che, nauseati dalla compressione e socializzazione forzata delle grandi città, dalla sovrasaturazione sensoriale, dalla sorveglianza di massa, dal grigiume e dai costanti microconflitti decidano semplicemente di ritirarsi: in borghi medievali incastonati tra colline verdi, in baite di legno sui pascoli alpini, o magari in remoti paesini di pescatori poggiati sulle coste di isole ormai disabitate.
Armati di tutta la conoscenza del mondo grazie all’intelligenza artificiale generativa, di esoscheletri leggeri, droni autonomi, stampanti 3D, reti satellitari per la banda larga, robot agricoli e — nel prossimo futuro, neurotecnologie —potranno, se lo vorranno, riconquistare quei luoghi ormai disabitati e abbandonati consapevolmente dallo Stato.
Non serviranno più comunità intere e dozzine di lavoratori per coltivare la terra, allevare gli animali, costruire o apprendere e tramandare conoscenza. Basteranno pochi esseri umani potenziati e interconnessi tra loro.
Non saranno hippie fissati con la natura, non li vedrai abbracciare alberi e usare foglie di fico come carta igienica. Né saranno agricoltori, allevatori o pescatori nel senso classico del termine. Saranno piuttosto una sintesi tra il cyberpunk post-umano e il nonno di Heidi: il nuovo Übermensch dell’Era Digitale.
La natura sarà complementare alla tecnologia; il regno animale intrecciato con quello artificiale; il lavoro manuale reciprocato da quello digitale, senza più false dicotomie.
Questi “Vecchi dell’Alpe” occuperanno le loro giornate tra formaggi di capra e schermi in 4k per interagire, commerciare e lavorare col resto del mondo.
Nel frattempo, i loro droni, coordinati tra loro grazie ad agenti AI specializzati, pattuglieranno autonomamente il territorio, segnalando eventuali anomalie. Gli esoscheletri leggeri li aiuteranno a sollevare pesi, costruire, manutenere i loro possedimenti, potare alberi, coltivare i campi e allevare bestie. Le intelligenze artificiali e robot si cureranno di svolgere i lavori più pesanti, tra un pisolino e l’altro all’ombra di cipressi e castagni.
Questi individui comunicheranno tra loro via connessioni satellitari e reti mesh decentralizzate di prossimità che li metteranno al riparo da qualsiasi tipo di sorveglianza remota da parte di governi, forze dell’ordine e curiosi di vario tipo. La loro moneta sarà nativa digitale e sovrana; non quella statale, fondata sulla schiavitù debitoria.
Le arnie e i pomodori si confonderanno con pannelli solari, batterie atomiche (confido nella ricerca cinese, già a buon punto) e processori specializzati per il mining di Bitcoin e altre criptovalute. Saranno, a tutti gli effetti, avamposti del mondo post-umano distribuito.
Le comunità che si formeranno saranno fortemente crypto-anarchiche. Non intendo necessariamente comunità fisiche, come villaggi, ma nel senso originario del termine coniato da Tim May: collettività, anche virtuali, accomunate da regole condivise, protocolli di crittografia, criptovalute e tecnologie digitali. Non sarà strettamente necessario che questi individui siano fisicamente vicini tra loro, poiché il fondamento di ogni comunità sarà nel cyberspazio.
I borghi medievali, i paesi montani, le zone rurali e le isole minori diventeranno zone d’ombra nel tessuto del controllo, territori abbandonati dallo Stato e dimenticati dalle mappe della burocrazia. Domani più di oggi non avrà senso sprecare risorse preziose — che saranno sempre più scarse — per sorvegliare e controllare qualche gruppo sparuto e distribuito d’individui localizzati in luoghi anche distanti tra loro, seppur interconnessi.

I limiti del corpo biologico e la salute decentralizzata
Eppure, anche questi percorsi alternativi avranno i loro limiti. Per quanto armati di silicio e crittografia, non possiamo ancora ignorare il nostro corpo biologico. La salute rimane il tallone d’Achille di qualsiasi “individuo sovrano” e comunità autonoma.
Siamo ancora — e per un po’ lo resteremo — dannatamente organici. E in un contesto di semi-isolamento, anche una semplice frattura, una crisi ipoglicemica o un’appendicite possono diventare letali.
La distribuzione efficiente e l’efficacia dei servizi di soccorso emergenziale e dei medici sarà un nodo critico del prossimo futuro dell’umanità.
Anche in questo momento esistono intere zone rurali, seppur abitate e civilizzate, che non dispongono di ospedali o servizi medici specialistici. L’arco alpino italiano, seppur gioiello turistico che accoglie centinaia di migliaia di visitatori ogni anno, è ad esempio estremamente carente da questo punto di vista. Non è raro che i pochi ospedali presenti abbiano bisogno di teleconsulti da parte di medici specializzati a distanza di centinaia di chilometri. Lo stesso può dirsi per zone più disagiate del Sud.
Non so come siano messi gli altri stati europei, gli Stati Uniti, il Giappone o la Cina, ma è chiaro che con il progressivo depopolamento il problema sarà sempre più evidente: i vecchi medici non saranno rimpiazzati da giovani medici. Il modello di salute centralizzato, tipico degli stati di welfare, sta fallendo.
La sfida sulla salute, decentralizzata e distribuita, appartiene a tutti, ma in particolare a coloro che vorranno approfittare delle nuove tecnologie per essere davvero liberi.
È possibile che la soluzione arrivi proprio dalla robotica e dall’intelligenza artificiale, ma nonostante i principali LLM siano già superiori, in quanto a capacità diagnostica, rispetto ai medici umani, non mi sono noti casi di robot in grado di operare autonomamente su pazienti.
E poi c’è la questione medicinali… tra il monopolio delle grandi corporazioni e i limiti legali statali siamo ancora lontani da un mondo in cui medicinali salva-vita possono essere prodotti e venduti da chiunque.
Qualcosa però si muove già. Progetti come l’Open Insulin Project stanno aprendo la strada alle biotecnologie open source, replicabili e decentralizzate. L’obiettivo è produrre insulina in piccoli laboratori comunitari, rendendo disponibile il processo produttivo senza brevetti.
È un po’ ciò che ha fatto anche Bitcoin nel settore della finanza: ha tolto il potere monetario dal centro, distribuendolo in una rete di nodi sovrani. Se progetti come Open Insulin riusciranno a scalare, o anche solo a ispirarne altri, potremmo assistere alla nascita di una medicina distribuita, decentralizzata e resiliente.
E quando anche il nostro corpo, l’ultimo anello biologico della catena di dipendenza dagli attuali centri di potere, potrà essere curato e mantenuto fuori dai circuiti “legacy”, non resteranno più ostacoli reali alla piena decentralizzazione dell’esistenza umana. A quel punto, non ci sarà bisogno di una rivoluzione spettacolare.
Il centro morirà per asfissia, collassando sotto il peso del suo gigantismo. Ai margini della mappa, invece, qualcosa comincerà ad accendersi.
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Credo che questa depopolazione, voluta o non voluta, sarà un bene sia per l'ambiente naturale che umano!
Ritornare a vivere in armonia con la natura, magari attrezzati di possibilità molto utili, che ci permetteranno di lavorare più efficacemente, godendoci maggiormente una vita in armonia con la natura intorno a noi, sarebbe qualcosa di estremamente positivo!
Potremo imparare a risolvere i nostri problemi, senza aspettare che altri lo facciano per noi, contribuendo personalmente ad una vera e propria vita sociale.
La mia visione si basa più sulla fisica e medicina quantistica, che sul proseguimento di quello che abbiamo oggi...e che non funziona.
Solo studiando seriamente la fisica di Grigori Grabovoi, potremo comprendere e realizzare una nuova vita, decisamente migliore di quella che conosciamo e che sta andando alla deriva!
Del resto ognuno deve trovare la sua strada, senza lasciarsi influenzare dalle masse che creano una coscienza collettiva, portando solo a ritrovarsi in vicoli ciechi!
È veramente molto probabile, che alcuni o speriamo parecchi, riusciranno a comprendere come sviluppare una coscienza individuale, ma in armonia a quella di altri esseri umani, similmente in cammino verso un'altra realtà positiva, rendendo possibile una nuova coscienza collettiva, definita oggi come "impossibile".
Fra questi alcuni o parecchi, desidero esserci anch'io, operando in forma attiva per un futuro migliore!
Alla fine, se comprendiamo veramente le svariate possibilità della nostra forza interiore, comprenderemo che i nostri pensieri, o meglio coscienza, creano e creeranno il nostro futuro e la nostra personale realtà...
Vedo più probabile una terza opzione: i più giovani continueranno a studiare e cercare lavoro in startup e corporazioni tecnologiche e di consulenza. Questi white collar job rimarranno, insieme a pochi altri. Poi i lavori manuali come dici tu. Ma penso anche che a breve assisteremo alla nascita dello universal basic income. Come tale sarà condizionale e obbligherà indirettamente le persone a vivere nelle grandi città per usufruirne. Molti saranno content creator o disoccupati a carico dello stato con UBI. Tutte queste persone continueranno a vivere nelle grandi città ma non necessariamente da occupati, non sarà necessario