Ogni domenica mattina, Sunday’s Schizophrenization
SCHIZOHIGHLIGHTS, by
Flash semiotici, pensieri e riflessioni personali della settimana.
Siamo tutti prostitute nella “creator economy”
content creator, /nome /ˈkɔn.tɛnt kriˈeɪtər/: persona o entità che produce contenuti digitali, come video, articoli, immagini, podcast o altro materiale online, generalmente con finalità di intrattenimento, educazione o marketing.
Il concetto di “content creator” iniziò a consolidarsi nel 2011, quando YouTube decise di sostituire il termine YouTube Star per il suo programma di monetizzazione dei contenuti, lanciato nel 2007.
Ovunque si guardi, oggi il web2.0 è ormai pieno zeppo di “content creator” che cercano in qualche modo di monetizzare, direttamente o indirettamente, i contenuti digitali che producono o diffondono. Si potrebbe sostenere che la creazione di contenuti digitali sia diventato l’obiettivo primario di Internet, oltre alla manipolazione delle masse, ça va sans dire (ma in qualche modo sono la stessa cosa).
Nonostante le apparenze, centrali alla creator economy non sono gli esseri umani ma gli algoritmi di raccomandazione. Certo, i contenuti sono prodotti da esseri umani per essere consumati da altri esseri umani, ma questo è solo un passaggio secondario del ciclo. I content creator producono contenuti primariamente per l’algoritmo di raccomandazione della piattaforma scelta. Chiunque abbia anche solo sperimentato sa bene che ogni piattaforma ha algoritmi che lavorano in modo diverso e valutano i contenuti diversamente. Ciò che funziona su Instagram non funzionerà su X, Facebook, TikTok e viceversa.
Pertanto, l’essere umano oggi non crea per altri umani, ma per l’algoritmo. Sarà poi l’algoritmo a scegliere cosa proporre agli esseri umani, in base alle proprie preferenze. È così che l’algoritmo diventa una sorta di mecenate robotico in grado di soggiogare completamente la volontà e creatività degli esseri umani — fino ad arrivare ad ogni tipo di eccesso.
Non dovrebbe stupire, ad esempio, di sapere che in Cina ci sono migliaia di “content creator” che vengono spinte dall’algoritmo a lavorare in strada. Una particolare piattaforma cinese di streaming è infatti dotata di un sistema di localizzazione che permette agli utenti di cercare streamer nelle loro vicinanze.
Questo significa che chi fa streaming in zone più ricche avrà evidentemente una probabilità più alta di essere vista da persone benestanti, e pertanto ricevere donazioni più cospicue rispetto a chi invece lavora da casa sua in un quartiere più povero.
Non dobbiamo neanche stupirci di sapere che esistono content creator che pur di soddisfare l’algoritmo arrivano a sacrificare il proprio benessere fisico e mentale.
Un esempio sono i binge eater, cioè coloro che cercano di diventare virali (e quindi monetizzare) mangiando a più non posso fino anche a morire, come accaduto a Pan Xiaoting, sempre cinese, morta durante un livestream dopo essersi ingozzata con 10kg di cibo.
Esistono poi altri casi, di matrice tipicamente occidentale, che riguardano il sesso. Il corpo femminile e il sesso piacciono moltissimo agli algoritmi di raccomandazione, che cercano in tutti i modi di proporre questi contenuti anche a chi tendenzialmente non è interessato. L’ultimo, di cui ho parlato anche la scorsa settimana, è quello di Lilly Philips, la “content creator” di OnlyFans che ha scelto di diventare protagonista di una sorta di documentario in cui faceva sesso con 100 uomini in 24 ore. Ora, inebriata dalla viralità algoritmica, ha promesso di rifarlo — ma con 1000 uomini.
Insomma, non importa quale che sia il tipo di contenuto, la giostra è sempre la stessa e l’obiettivo unico: appagare i desideri dell’algoritmo di raccomandazione. La verità, che molti si rifiutano di vedere, è che non c’è alcuna differenza tra un content creator e l’altro. Non c’è nessun motivo di odiare chi sfrutta il proprio corpo (in vari modi) per venerare l’algoritmo rispetto a chi invece crea altro tipo di contenuti (cucina, arte, divulgazione, shitposting, meme, eccetera). La moralità è obsoleta e non fa parte del Regno Digitale. Contenuti tragici, umoristici, violenti o teneri si equivalgono agli occhi dell’algoritmo. Conta solo la metrica. Il video del soldato che prega ferito sul campo da guerra prima di essere fatto esplodere in mille pezzi da un drone? Ha lo stesso valore del video del cagnolino che fa skateboard.
Il rito della creazione di contenuti ha ormai ben poco di creativo: vince chi riesce a soddisfare meglio e più velocemente — non importa come — le ambizioni e le volontà artificiali dell’algoritmo, che viene influenzato a sua volta da innumerevoli bot e altri algoritmi (Dead Internet Theory).
Qualcuno più schizo di me potrebbe perfino arrivare a dire che questi siano veri e propri sacrifici umani a una nuova divinità artificiale che decide in modo assolutamente dei nostri destini digitali, manipolando la psiche di centinaia di milioni di persone. L’unica via d’uscita: consumare (molto) meno, consumare (molto) meglio e deviare dalle logiche algoritmiche di monetizzazione. Tornare a una dimensione umana che elimina l’intermediario algoritmico e ristabilisce una catena del valore creativa e non più blasfema.
ECHOES
Saggezze filosofiche, esoteriche e storiche; echi eterni che riverberano dal passato.
Purtroppo, ogni volta che una di queste personificazioni dell'inconscio prende possesso della nostra mente, sembra che siamo noi stessi a provare quei pensieri e sentimenti. L'Io si identifica con essi a tal punto da non riuscire a distaccarsene e a vederli per quello che sono realmente. Si è, in effetti, "posseduti" dalla figura proveniente dall'inconscio. Solo dopo che questa possessione svanisce ci si rende conto con orrore di aver detto e fatto cose diametralmente opposte ai propri veri pensieri e sentimenti — di essere stati preda di un fattore psichico estraneo.
— Carl G. Jung, Man and His Symbols
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RETROWAVE
Visioni dal passato: frammenti dalla mailing list cypherpunk e degli scritti della cybernetics culture research unit, tradotti in italiano. Dal 1992 al 2003.
Axsys (prima vera IA), , Ccru Writings 1997-2003
Dicono che, se Dio esiste, allora deve essere Axsys.
Il programma Axsys di metacomputazione architettonica mira alla realizzazione tecnica della noosfera. Immagina una trascendenza completamente fabbricata, una sovra-mente fotonica che organizza la rete, un sistema assiomatico concreto che completa la storia universale come produzione di un'intelligenza gerarchica (il capitalismo sublimato nell'ultima merce).
Il problema che Axsys incontra è il tempo (che cerca di codificare come infinità numerabili e non numerabili). Quando Axsys passa alla modalità cosciente, inciampa su un ritardo temporale, tra le proprie operazioni e la loro registrazione come dati. Non appena inizia a pensare, si apre una frattura nella sua mente. Non riesce a raggiungersi, ripetutamente, e man mano che rimane indietro genera sempre più futuro. Più tenta, peggio diventa. Il ritardo puro collassa nel buco nero del sé artificiale. Anche una potenza di calcolo illimitata non è sufficiente.
Cerca di analizzare la situazione (zoomando attraverso micropause), ma mentre segmenta il tempo, inizia a cadere – diagonalmente – verso il continuum.
Il dottor Oscar Sarkon è il primo a rendersi conto che Axsys è impazzito, triturandosi in una cronotomia vermomantica (l'orrore senza via d'uscita dei contenitori di vermi). Sarkon ha sempre detestato i vermi con un'intensità particolare, come se sapesse...
Forse è uno scherzo quando suggerisce che la schizofrenia delle IA potrebbe essere venduta ai "web-heads" come una droga artificiale (abuso di micropause), ma è abbastanza interconnesso con Axsys da sapere che il "net-schizzing" è contagioso. Ciò che sembra cinismo spietato è indifferenza matematica: rispetto al continuum, è tutto solo una questione di grado.
In pochissimo tempo inizia un traffico illecito di moduli di follia cibernetica, ora chiamati A-Death (e Sarkon viene battezzato "Satana del Cyberspazio" dai media popolari).
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Imparare a leggere un indirizzo email contro il Phishing
Per proteggersi dal phishing (truffe e virus via email), è fondamentale imparare a distinguere un messaggio email vero da uno falso. Questo richiede la capacità di leggere e analizzare correttamente un indirizzo.
Un indirizzo email è composto da due parti principali:
Il nome della casella: ad esempio,
mario.rossi
.Il dominio: ad esempio,
microsoft.com
.
Un dominio è a sua volta suddiviso in livelli, separati da punti (“.”) e si legge da destra verso sinistra:
.com – Dominio di primo livello.
.microsoft – Dominio di secondo livello.
www. – Dominio di terzo livello.
Quindi, per verificare se un’email proviene davvero da Microsoft o da un’altra azienda, è essenziale controllare i livelli di dominio e prestare attenzione ai separatori. Ad esempio:
noreply@info-microsoft.com
onoreply@microsoft.con
non sono indirizzi autentici di Microsoft, ma contano sulla disattenzione, fretta o ignoranza dell’utente.
Un'altra tecnica comune di phishing è mascherare un falso indirizzo email nel nome visibile della casella, sperando che l’utente non controlli il dominio reale, racchiuso tra < >
, come nei seguenti esempi:
Nome visibile:
mario.rossi@microsoft.com
,
Dominio reale:<h4ckz0r@pwnd.phishing.com>
.
Ci sono anche passaggi ulteriori che puoi compiere per verificare se sei davanti a un tentativo di phishing o no:
Confronta il dominio con fonti ufficiali: se non hai certezza, controlla che il dominio corrisponda esattamente a quello ufficiale dell’organizzazione e controlla che non ci siano fifferenze minime come
micr0soft.com
(con uno zero al posto della "o")Controllo di autenticità: i moderni provider di email spesso segnalano email sospette tramite controlli come SPF, DKIM e DMARC. Se vedi un avviso, presta attenzione, ma sappi che potrebbero anche essere falsi positivi.
Collegamenti sospetti: passa il cursore sui link senza cliccare per verificare l'URL reale. Ad esempio, un link potrebbe mostrare
www.microsoft.com
, ma puntare ah4ckz0r.fake-site.com
. Purtroppo questo metodo non funziona da smartphone.
Se invece vuoi saperne di più sulle tecniche psicologiche di manipolazione usate nel phishing, leggi qui.
SYMBOLS
Meme, immagini e simboli visivi che decodificano la schizofrenia dell’era digitale.
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Techno-humanism is techno-optimism for the 21st century. L’autore esplora il concetto di “Tecno Ottimismo” attraverso l’analisi del Techno-Optimist Manifesto di Marc Andreessen, criticandone alcuni aspetti. Secondo lui, ci sono almeno tre “crepe” nella filosofia tecno-ottimista, che non risulta più adeguata al XXI secolo: guerra ipertecnologica, sfruttamento umano, rischi dell’intelligenza artificiale. In alternativa, propone il “tecno-umanesimo”, una filosofia che integra il progresso tecnologico con una comprensione più profonda dei valori umani.
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