Ciao, io sono Matte. Professionista della Privacy e Cybersecurity di giorno. Schizo-Cyberoccultista di notte. Ogni domenica ti porto una dose di schizofrenia digitale, mischiando insieme riflessioni sull’Era Digitale, echi dal passato e consigli di sicurezza e tecnologia. Se ti piace questo, ti piaceranno anche le mie altre rubriche, dove tecnologia, filosofia e sopravvivenza digitale convergono.
SCHIZOHIGHLIGHTS, by
Flash semiotici, pensieri e riflessioni personali della settimana.
Spotify e la necrosi digitale
Un’inchiesta di Liz Pelly, parte del libro Mood Machine, ha rivelato che Spotify ha un programma interno denominato “Perfect Fit Content” attraverso cui crea e promuove internamente musica più economicamente conveniente rispetto a quella degli artisti. Il fenomeno riguarda più che altro generi da “ascolto passivo”, come jazz, elettronica, lo-fi e ambient. Lo scopo sarebbe chiaramente ridurre o eliminare le royalties pagate agli artisti, favorendo invece tracce prodotte internamente.
Un articolo recente suggerisce che molte tracce musicali possano essere addirittura create da Spotify o partner terzi con intelligenza artificiale generativa. Il sospetto arriva dalla presenza sulla piattaforma di numerosi autori e canzoni con nomi diversi, ma che poi in realtà risultano essere le stesse identiche melodie.
A questo meccanismo si aggiunge poi l’impatto dell’algoritmo di profilazione e raccomandazione di Spotify — estremamente sofisticato. Il sistema è composto di tre fasi principali:
Spotify analizza il comportamento dell’utente, cioè quali canzoni ascolta, per quanto tempo, quali sceglie di saltare, quali playlist crea o salva, e perfino a che ora ascolta la musica. Forse ancora più importante: il sistema tiene traccia anche di cosa ascoltano utenti simili.
Il sistema di Spotify usa poi diversi sistemi di machine learning per profilare e poi raccomandare i brani:
Collaborative Filtering: confronta i gusti dell’utente con quelli di altri utenti simili per suggerirte in tempo reale brani che potrebbero piacergli.
Audio Analysis: esamina il suono dei brani (ritmo, tonalità, strumenti) per capire quali potrebbero piacere all’utente.
Raccomandazione personalizzata: con tutti questi dati il sistema è in grado di generare playlist personalizzate (come Discover Weekly o Daily Mix), suggerisce nuovi brani e modificare l'ordine delle canzoni nelle playlist pubbliche in base ai gusti dell’utente.
In poche parole, quella di Spotify è una grande macchina di profilazione e raccomandazione. In questo contesto, l’incentivo economico per ridurre il più possibile i costi — sapendo che gran parte degli utenti si lasciano trasportare e consigliare passivamente dall’algoritmo — è chiarissimo.
Lo scenario che si prospetta per artisti e ascoltatori non è dei migliori. Se l’intelligenza artificiale generativa sarà più economica (e lo sarà certamente) rispetto agli artisti umani, piattaforme come Spotify non avranno alcuna scelta se non impiegare sempre più questi strumenti, massimizzando il loro profitto e lasciando sempre più da parte gli artisti umani.
Il cerchio sarà presto completo: gli algoritmi generativi lavoreranno per produrre musica che poi sarà analizzata da algoritmi di profilazione e proposta al pubblico da algoritmi di raccomandazione. Gli utenti, mere macchine sensoriali da cui estrarre profitto.
Tre anni fa, la mia opinione sul tema sarebbe stata molto diversa da oggi. In effetti, tre anni fa usavo proprio l’esempio di Spotify per spiegare che la profilazione è diversa dalla personalizzazione dei contenuti, e che nessun algoritmo saprà mai davvero consigliare brani legati allo stato emozionale del momento.
Credo che sia ancora vero, ma con una sottile differenza: non c’è alcun bisogno di comprendere lo stato emozionale di una persona per raccomandare musica. La maggior parte delle persone non ricercano la musica come momento di contemplazione artistica, ma come rumore di sottofondo mentre fanno altro. I brani ambient e lo-fi generati dall’intelligenza artificiale sono più che sufficienti per soddisfare questa vuota dipendenza psicologica.
Gli algoritmi e la massificazione e mercificazione di ogni ambito umano, compreso quello artistico, ci hanno rovinati. Io stesso ho aumentato esponenzialmente il mio consumo di musica nel corso degli anni. Prima dell’avvento di Spotify ero solito sedermi nella mia stanza con le cuffie sulle orecchie e ascoltare un intero album senza far nulla. Oggi? Non penso che riuscirei. Ascoltare musica senza lavorare, leggere, scrivere, chattare? Impossibile. Anche in questo momento, mentre batto le dita sulla tastiera, sto ascoltando della musica proposta automaticamente da Spotify. L’autore sarà reale o artificiale? Non mi interessa — che importa?
Alcuni considerano la Dead Internet Theory una teoria del complotto. In realtà, è semplicemente obsoleta. Internet è morto da tempo e sta marcendo. È un corpo in putrefazione, una carcassa svuotata dall’interno, divorata dall’umanità stessa per poi essere poi riempita di circuiti, modelli statistici e simulacri digitali in un rito necromantico.
La logica del profitto porterà inevitabilmente le corporazioni a privilegiare contenuti generati artificialmente. Le intelligenze artificiali produrranno contenuti pensati per soddisfare gli algoritmi di raccomandazione, che a loro volta li proporranno ad altre IA generative. Queste ultime assimileranno, replicheranno e miglioreranno ciò che le precede, in un ciclo iterativo senza fine.
L’accelerazione tecnologica è l’unica via d’uscita dal pantano esistenziale in cui siamo immersi, ma dovremmo anche considerare la possibilità riacquistare consapevolezza e intenzionalità nelle nostre azioni. Non per rallentare, ma per cavalcare la Tigre senza cadere ed essere divorati nella foga della corsa.
Ogni post, ogni lettura, ogni chat, ogni ascolto, ogni osservazione dovrebbe essere un atto intenzionale, una scelta consapevole. Tutto ciò che facciamo in modo automatico, senza riflessione, è una rinuncia alla nostra umanità, un cedimento all’algoritmo e alla logica inumana della massimizzazione del profitto.
ECHOES
Saggezze filosofiche, esoteriche e storiche; echi eterni che riverberano dal passato.
Tutti i media sono estensioni di qualche facoltà umana—psichica o fisica. La ruota è un’estensione del piede. Il libro è un’estensione dell’occhio. Gli abiti, un’estensione della pelle. I circuiti elettrici, un’estensione del sistema nervoso centrale. I media, alterando l’ambiente, evocano in noi un rapporto unico tra le percezioni sensoriali. L’estensione di un senso modifica il nostro modo di pensare e agire—il nostro modo di percepire il mondo. Quando questi rapporti cambiano, gli uomini cambiano.
— Marshall McLuhan
RETROWAVE
Visioni dal passato: frammenti dalla mailing list cypherpunk e degli scritti della cybernetics culture research unit, tradotti in italiano. Dal 1992 al 2003.
Genesi del neolemurianesimo, parte 4
Nell’OGU (One God Universe), la finzione è accuratamente contenuta all’interno di una cornice metafisica, che delimita in modo profilattico ogni contatto tra la finzione e ciò che le sta all’esterno. La funzione magica delle parole e dei segni viene al contempo condannata come maligna e dichiarata illusoria, garantendo all’OGU il monopolio sul potere magico del linguaggio (che, ovviamente, nega che il proprio mito eserciti qualsiasi tipo di influenza magica, presentandolo invece come una semplice rappresentazione della Verità).
Ma la sicurezza dell’OGU nel credere di aver confinato la finzione permette agli agenti anti-OGU di utilizzarla come linea di comunicazione segreta e arma occulta: “Egli nascose e rivelò la conoscenza sotto forma di finzione” (WV 455).
Questa, per Kaye, era “una formula per la pratica iperstizionale”. Diagrammi, mappe, insiemi di relazioni astratte, strategie tattiche: tutto questo è reale in una finzione su una finzione su una finzione, tanto quanto lo è quando viene incontrato nella sua forma grezza. Ma sottoporre questo contrabbando semiotico a molteplici stratificazioni consente un traffico di materiali utili alla decodifica della realtà dominante, materiali che altrimenti sarebbero proibiti.
Piuttosto che agire come uno schermo trascendentale, bloccando il contatto tra sé e il mondo, la finzione funziona come una scatola cinese—un contenitore per interventi stregonici nella realtà. La cornice viene al tempo stesso utilizzata (per occultare) e infranta (poiché le finzioni potenziano mutamenti nella realtà).
Mentre l’agitazione iperstizionale produce una “incredulità positiva”—una sospensione temporanea di qualsiasi quadro di realtà in nome di un impegno pragmatico piuttosto che di un’esitazione epistemologica—l’OGU si nutre di credenza. Affinché possa operare, la narrazione che governa la realtà deve essere creduta. Questo significa anche che non si deve sospettare né credere all’esistenza di un programma di controllo che determina la realtà.
La credulità di fronte alla meta-narrazione dell’OGU è inevitabilmente accompagnata dal rifiuto di accettare che entità come il Controllo abbiano un’esistenza effettiva. Per questo, per uscire dall’OGU, è necessario un abbandono sistematico di tutte le credenze.
"Solo coloro che possono lasciarsi alle spalle tutto ciò in cui hanno mai creduto possono sperare di fuggire.” (WL 116).
Le tecniche di fuga dipendono dal raggiungimento dell’incredulità dell’assassino-mago Hassan i Sabbah: nulla è vero, tutto è permesso.
Ancora una volta, Kaye avvertiva che questo concetto deve essere distinto con attenzione dal “relativismo postmoderno”. Il nulla è vero di Burroughs-Sabbah non può essere equiparato al nulla è reale del postmodernismo. Al contrario: nulla è vero perché non esiste una singola versione autorizzata della realtà—al suo posto, c’è una sovrabbondanza, un eccesso di realtà.
"Il piano dell’Avversario è convincerti che non esiste." (WL 12).

DIGITAL GRIMOIRE
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GPT o3-mini rilasciato da OpenAI
Dopo giorni di pressione a causa del rilascio in occidente del modello R1 di DeepSeek, openAI ha finalmente deciso di lanciare il suo nuovo modello di ragionamento: GPT o3-mini. Questa è l’ultima evoluzione del motore di OpenAI, anche se per ora soltanto nella versione “light” (mini). La versione completa non è ancora disponibile.
Dai test disponibili sembra che o3-mini sia in realtà migliore della controparte cinese DeepSeek R1 sul piano della conoscenza generale e problem solving.
L’AIME benchmark – un test avanzato per valutare il ragionamento e la capacità di problem-solving delle IA, segna infatti un punteggio dell’87.3% per o3-mini rispetto al 79.8% di DeepSeek R1. La versione o3-mini supera di gran lunga anche il modello precedente, GPT 4o, che presenta un AIME benchmark del 13.4%.
Sul fronte del coding (Codeforces benchmark) 3o-mini e DeepSeek R1 sono molto vicini, anche se di nuovo 3o-mini risulta vincente. Rispetto al modello 4o non c’è invece paragone: 3o-mini risulta del 57% più performante.
Tuttavia, GPT-4o può generare risposte fino a 16.384 token, quindi è in grado di scrivere testi molto più lunghi, dettagliati e articolati in una sola risposta — rispetto al o3-mini che invece è limitato a 4.096 token. DeepSeek R1 vince a mani basse, potendo generare risposte fino a 131.000 token.
Sembra quindi che la versione o3-mini sia più efficiente e qualitativamente superiore per svolgere task dirette e molto specifiche, mentre GPT 4o e ancor più DeepSeek R1 sono una scelta migliore per chi invece ha bisogno di ragionamenti più lunghi e articolati.
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. Offline, online, privilegio della realtà e dipendenza dal cyberspazio. Un turbine in cui l’autrice spiega il suo punto di vista sulla trasformazione dell’ambiente digitale e sulle ultime voglie di sfuggirvi per tornare al reale — per coloro che hanno un reale a cui tornare. Disconnettersi e vivere offline sarà sempre più un privilegio? Ci saranno sempre più persone costrette a rimanere online per sopravvivere, destinate a essere sfruttate dalla tecnocrazia globale e dagli algoritmi? Anch’io penso di sì. Possedere un dumbphone oggi è un lusso. Lettura consigliata.Hai già letto l’ultima su Cyber Hermetica?
Alla prossima settimana per un nuovo appuntamento di Sunday’s Schizophrenization
Infatti, sarà che ho avuto una carriera da musicista, ma non metto mai musica di sottofondo mentre lavoro (di concetto), non riesco a concentrarmi, ascolto musica se posso dedicarmi solo a quello, come facevo da giovane quando compravo un nuovo disco e lo ascoltavo tutto dall'inizio alla fine, leggendo e guardando la copertina.