Smart city e ingegneria sociale, la città che plasma l'Uomo

Le smart city, grazie a un sistema di estrazione violenta di dati, rischiano di ribaltare un paradigma millenario: non più l'Uomo che plasma la città, ma la città che plasma l'Uomo.

La settimana scorsa mi sono cimentato in un breve racconto in cui descrivevo una possibile giornata in una città del 2033, dove sorveglianza e altri meccanismi di controllo non solo sono ovunque, ma anche completamente integrati nella vita delle persone.

Questo mi ha fatto riflettere su un elemento implicito del racconto: il ruolo della città nel contesto della trasformazione digitale e della sorveglianza di massa.

Per città tipicamente si intende un insediamento umano frutto di un processo di urbanizzazione, cioè quel processo che comporta un accentramento di persone, strutture e risorse in un determinato luogo e che rende possibile lo scambio commerciale. La città, in pratica, è un luogo fisico di aggregazione.

Da una decina di anni si parla però non più di città, ma di “smart city” o per dirla in italiano, di comunità intelligente. È un concetto ormai abusato, come ogni altra buzzword, ma non per questo indegno di considerazione.

Non c’è ancora uno standard omogeneo di smart city. Gli esempi concreti sono ancora rari e spesso molto diversi tra loro. Diciamo che l’idea nasce inizialmente con l’obiettivo di sfruttare la tecnologia ICT per aumentare l’ecosostenibilità dello sviluppo urbano e diminuire l’inquinamento atmosferico.

Oggi vorrei parlarvi dei recenti sviluppi in tema di smart cities, delle inevitabili ingerenze del World Economic Forum e del ruolo della città come strumento di pianificazione e ingegneria sociale. È l’uomo che vive la città - o la città che vive l’uomo? Chissà…

Sensori, telecamere, automazione, realtà aumentata

Da qualche tempo l’idea di smart city si sta trasformando. L’idea di usare la tecnologia per aumentare l’ecosostenibilità della città e agevolare lo sviluppo urbano è stata superata.