Macron, Durov, Zuckerberg, e le Crypto Wars
Aggiornamenti dal fronte delle Crypto Wars (e come al solito i complottisti hanno ragione).
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Pavel Durov, fondatore di Telegram, è stato catturato sul fronte francese. Commentatori, mass media e complottisti da ogni parte del mondo si sono schierati. Così il Presidente Macron ha ritenuto doveroso pubblicare un comunicato su X, la piattaforma più schifata dall’Unione Europea, che però inevitabilmente usano tutti.
Macron ci indica la Verità
Il breve post inizia subito nel migliore dei modi: “I have seen false information regarding France following the arrest of Pavel Durov (Ho visto circolare false informazioni circa la Francia e a seguito dell’arresto di Pavel Durov”. Macron, o meglio lo stagista incaricato di postare la velina, procede poi a raccontarci la Verità, che tradurrò io:
La Francia è profondamente impegnata nella difesa della libertà di espressione e di comunicazione, nell'innovazione e nello spirito imprenditoriale. E continuerà ad esserlo.
In uno stato di diritto, le libertà sono garantite all'interno di un quadro giuridico, sia sui social media che nella vita reale, per proteggere i cittadini e rispettare i loro diritti fondamentali.
Spetta al sistema giudiziario, in piena indipendenza, far rispettare la legge.
L'arresto del presidente di Telegram su suolo francese è avvenuto nell'ambito di un'indagine giudiziaria in corso. Non si tratta in alcun modo di una decisione politica. Spetta ai giudici pronunciarsi sulla questione.
La velina è perfetta, ha tutti i trigger necessari a stimolare la reazione atavica standard del perfetto NPC da social network: difesa della libertà; stato di diritto; libertà garantita da un quadro giuridico per proteggere i cittadini. Molto bene: la formula magica è completa. Sarebbe stato sufficiente questo, ma lo stagista ci comunica anche che la decisione non è in alcun modo politica e che ora spetta ai giudici decidere, giusto per mettere a tacere possibili illazioni.
La crittografia come arma da guerra
Non fosse che, beh… i capi d’imputazione sono invece molto politici!
A Pavel Durov, tra le altre cose, vengono contestati diversi reati che hanno a che fare con lo sviluppo e la diffusione di tecnologie di crittografia per la riservatezza delle comunicazioni senza autorizzazione, come si può leggere dal comunicato ufficiale:
Providing cryptology services aiming to ensure confidentiality without certified declaration
Providing a cryptology tool not solely ensuring authentication or integrity monitoring without prior declaration
Importing a cryptology tool ensuring authentication or integrity monitoring without prior declaration
Le leggi che limitano l’importazione e la diffusione di tecnologie di crittografia per la riservatezza delle comunicazioni sono frutto di decisioni e direzioni politiche che già Stati Uniti e Regno Unito provarono a percorrere negli anni ‘90 — durante le prime Crypto Wars.
Gli strumenti di crittografia venivano considerati al pari di armi da guerra, e la loro importazione e diffusione era severamente regolamentata. Ricordiamo tutti (o forse no) il caso giudiziario (e politico) di Phil Zimmermann, che dopo aver diffuso pubblicamente il suo algoritmo PGP (Pretty Good Privacy) nel 1993 venne indagato per “esportazione non autorizzata di munizioni senza licenza”.
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La Francia è quindi rimasta agli anni ‘90, come le leggi che vengono richiamate nei capi d’imputazione contro Durov. Non sono familiare delle vicende dell’ordinamento giuridico francese, ma potrei essere pronto a scommettere che Pavel Durov sia l’unico ad essere imputato per la violazione di tali leggi, estremamente desuete.
Quindi sì, sembra a tutti gli effetti una scelta politica per aggravare la sua situazione giudiziaria. E se anche non lo fosse, dovrebbe diventarlo. Incarcerare qualcuno per aver diffuso strumenti di crittografia mentre al tempo stesso si dichiara di voler proteggere i cittadini è semplicemente assurdo!
Le restanti imputazioni, beh, che ve lo dico a fare. Ritenere il proprietario di una piattaforma digitale responsabile — e complice! — dei crimini realizzati attraverso le sue infrastrutture è assurdo, e qualche decade fa sarebbe stato politicamente insostenibile, ancor prima che giuridicamente (le leggi cambiano col sentimento politico).
La confessione di Zuckerberg
Come se il panorama non fosse già abbastanza ingarbugliato e cupo, in queste ore è arrivato il buon Mark Zuckerberg a complicare le cose.
Con una lettera che somiglia a una confessione, il CEO di Meta ha ammesso di aver ceduto, tra il 2020 e 2021, a pressioni da parte dell’intelligence e dell’amministrazione Biden per censurare contenuti su Facebook e Instagram relativi al Covid19 e alle elezioni.
Ora dice che se ne dispiace e che non rifarebbe lo stesso errore, dato che l’opera di censura limitò gravemente la libertà d’espressione di milioni di persone e anche la diffusione di notizie vere e legittime.
La lettera, che è un potente affondo verso tutti i fact checker che in questi anni continuavano a dare del complottista a chiunque parlasse di censura e ingerenze politiche illecite, non dovrebbe in realtà stupire chi mi segue da tempo, poiché è esattamente quanto accaduto anche su Twitter prima dell’amministrazione Musk nello stesso periodo (Twitter Files: qui e qui).
Anche in quel caso sia intelligence che governo cercarono (e riuscirono) in tutti i modi di censurare numerosissimi account, fino ad ottenere anche la cancellazione di Trump.
La confessione dimostra ancora una volta che le grandi piattaforme online sono campo da battaglia per il controllo dell’informazione (che i politici chiamano tutela dalla disinformazione) e per la limitazione della capacità di autodeterminazione delle persone. Checché ne dica Macron, ciò che sta accadendo con Telegram rientra a pieno titolo nello stesso contesto e nessuna persona sana di mente potrebbe mai fidarsi degli stessi governi che continuamente attentano alla libertà dei loro stessi cittadini.
Perché Zuckerberg ha scelto proprio questo periodo delicato per pubblicare questa lettera? Sarà per supportare moralmente i colleghi Durov e Musk (già inguaiato con la Commissione Europea per il Digital Services Act) o è invece una mossa politica strategica per posizionarsi in vista di una possibile vittoria di Trump e assicurarsi un trattamento più favorevole in un mondo che sembra sempre più intenzionato a stringere la corda intorno al collo dei CEO delle grandi piattaforme?
Forse lo sapremo fra qualche tempo. Ciò che è certo è che le Crypto Wars sono oggi in piena reviviscenza, e gli involontari e malcapitati protagonisti di queste nuove battaglie sono Alexey Pertsev, Roman Storm, Roman Semenov, William Lonergan Hill e Keonne Rodriguez e l’ultimo arrivato Pavel Durov. Scopriremo fra qualche tempo il ruolo che Elon Musk e Mark Zuckerberg sceglieranno di ricoprire.
Se non sai chi sono le persone che ho citato, ti consiglio di approfondire con la mia rubrica e approfondimenti sulle Crypto Wars — non ne troverai altre in Italia.