Videosorveglianza e falsa percezione di sicurezza
La diffusione della videosorveglianza e la narrativa politica che spinge verso una falsa percezione di sicurezza.
Le nostre città non sono sempre state videosorvegliate. Una volta, l’idea che qualcuno potesse sorvegliare ciò che facciamo in strada e negli edifici pubblici, sarebbe stato l’oggetto di qualche film sci-fi.
È col decentramento della sicurezza pubblica, dallo Stato centrale ai Comuni, che inizia il tunnel della videosorveglianza, da cui oggi non si vede più uscita.
E l’incredibile diffusione della videosorveglianza poggia su una falsa narrativa che fa perno sulla percezione di sicurezza. Questa narrativa viene usata da ormai vent’anni come grimaldello politico per legittimare l’acquisto e l’installazione di sistemi di sorveglianza sempre più pervasivi e farsi belli con l’elettorato che si sente “sicuro”.
Come riporta Laura Carrer su Wired, già nel 2007 a Milano si giustificava l’uso di sistemi di sorveglianza per far fronte a “un crescente senso di insicurezza, determinato dall’attuale stato dell’ordine e della sicurezza pubblica”.
Eppure, la percezione di (in)sicurezza non è un dato oggettivo misurabile. Anzi, è un elemento estremamente malleabile che spesso non trova alcun fondamento concreto. Sono i politici e i mass media stessi a spingere una narrativa pubblica che porta le persone a sentirsi sempre più insicure — nonostante i sistemi di videosorveglianza.
E per comprendere il paradosso, basta guardare ai dati. Ad esempio, Londra è la città più sorvegliata d’Europa, ma è anche tra le più pericolose in quanto a numero di reati. Lo stesso può dirsi di Milano — certamente la città più sorvegliata d’Italia e al tempo stesso la più pericolosa.
E se questo non bastasse, esistono studi empirici come questo che mostrano chiaramente come la videosorveglianza non abbia alcun impatto sui crimini violenti e che contribuisca solo a spostare i crimini d’opportunità, come il borseggio, verso zone meno sorvegliate. D’altronde, è una questione di logica: il criminale violento non pianifica le sue aggressioni e non si cura certo della videosorveglianza. A riprova di questo, i numerosissimi video di crimini violenti che popolano i social, ripresi proprio da telecamere di videosorveglianza.
Se però la maggiore sicurezza nelle città grazie alle telecamere è una percezione senza fondamento, la sorveglianza — sempre più pervasiva — è invece concreta e reale. Vediamo qualche caso italiano.
Il caso di Treviso
Il comune di Treviso ha recentemente deciso di usare € 200.000 delle tasse dei cittadini per installare 50 nuove telecamere in città.
L'articolo afferma che Treviso è la città più videosorvegliata, e quindi più sicura del Veneto, e non solo. Ma come fanno a dirlo? Qual è la correlazione diretta tra numero di videocamere e criminalità? Non è dato saperlo. E in effetti, non esiste.
Se è vero che Treviso è tra le città più sicure d’Italia, quali sono le motivazioni che hanno reso necessario acquistare 50 nuove telecamere (+30% rispetto a quelle già installate)?
La città è diventata improvvisamente del 30% meno sicura? E se così fosse, in che modo queste 50 nuove telecamere possono essere un investimento migliore rispetto ad esempio assumere nuovo personale per le forze dell’ordine?
Domande che non hanno risposta, perché lo scopo della videosorveglianza non è certo aumentare la sicurezza di una città che vanta già di essere tra le più sicure d’Italia. Questi ragionamenti però non interessano all’amministrazione pubblica.
Ciò che conta è mantenere ferma la narrativa più videosorveglianza = più sicurezza.
Il caso di Trento
Trento è una città particolare — un vero e proprio laboratorio di sorveglianza in cui sono stati avviati ben tre progetti diversi: Marvel, Precrisis e Protector.
I tre progetti hanno uno scopo comune: elaborare grandi masse di dati acquisiti grazie ai sistemi di videosorveglianza e ai microfoni diffusi nella città al fine di sviluppare sistemi predittivi contro la criminalità, atti di terrorismo e pericoli per i luoghi di culto.
Dal sito del Comune si legge: “Il Comune di Trento rappresenterà un caso d’uso per capire cosa accade in alcune zone della città (come parchi, piazze, sottopassaggi, incroci) dove sono installate telecamere e/o microfoni. Dall’analisi di immagini e, dove presente, dell’audio, l’obiettivo è quello di riconoscere automaticamente la presenza/assenza di persone e discriminare situazioni potenzialmente problematiche”.
I cittadini di Trento, città di poco più di 100.000 abitanti, sanno di essere cavie da laboratorio per sistemi di questo tipo, che — vale la pena ripetere — non hanno invero alcun impatto sulla criminalità, nonostante le diverse affermazioni?
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Il caso di Udine
Ci sono poi alcuni sindaci che non nascondono affatto lo scopo primario dell’investimento in videosorveglianza: aumentare la sicurezza percepita dall’elettorato, e non certo quella reale.
Lo dice chiaramente Fontanini: le nuove telecamere contribuiranno ad aumentare la sicurezza reale (su quali dati?) e quella percepita. Insomma, va a sentimento.
Vale la pena poi sottolineare il fatto che le telecamere con riconoscimento facciale, come quelle che vorrebbe installare il sindaco di Udine, sono attualmente illegali nell’Unione Europea. Ma evidentemente non interessa, ed anzi, è motivo di vanto.
Un progetto da € 700.000 per aumentare la “sicurezza percepita” da parte della popolazione, attraverso l’uso di sistemi illegali di videosorveglianza. Fantastico!
Il caso di Torino
Anche la città di Torino si sta dotando di sistemi di videosorveglianza intelligente, che permetteranno di identificare in tempo reale le persone sulla base di elementi identificativi specifici.
Si chiama “progetto Argo”, e prevede l'installazione iniziale di 10 telecamere, per arrivare poi all'installazione complessiva di 275 nuove telecamere di ultima generazione sui territori.
Anche in questo caso si parla di sicurezza, senza però fornire alcun dato oggettivo e valutazione di merito sulla necessità di maggiore sicurezza nella città di Torino: ”tramite l'intelligenza artificiale, clouding e big data, le Forze dell'Ordine avranno a disposizione dati migliori per intervenire tempestivamente nelle zone in cui si renderà necessario, al fine di garantire una maggiore sicurezza del territorio.”
Attraverso questi sistemi le forze dell’ordine saranno anche in grado di prevedere i comportamenti e gli spostamenti di gruppi di persone all'interno della città, come in caso di manifestazioni e proteste. Ha a che fare con la sicurezza? Non mi sembra.
Il caso di Roma
A Roma la questione videosorveglianza è paradigmatica.
Nonostante Roma abbia meno crimini, in proporzione alla popolazione, di Milano, Torino, Napoli, Firenze e Venezia, c’è chi durante l’ultima campagna elettorale, come Calenda, propose di acquistare e installare 6.000 nuove videocamere, da aggiungere alle 1.300 esistenti.
La proposta arrivò, pare, da alcuni sondaggi che mostravano che più di un romano su due percepisce insicurezza.
Ancora una volta, questa è la dimostrazione plastica che tutto ciò che conta non è proteggere davvero l’incolumità dei cittadini (che non si fa certo con una telecamera), ma soltanto migliorare la loro percezione di sicurezza. Insomma, un’elaborata e pericolosa frode per accaparrarsi voti.
Vera sorveglianza = falso senso di sicurezza
I sindaci si ergono a benevoli protettori del benessere e pace mentale dei cittadini, con una sollecitudine paternalistica che non necessita di alcuna motivazione, raziocinio o dati oggettivi.
Gli enti locali approvano spese di centinaia di migliaia di euro senza particolari riflessioni sulla reale necessità degli impianti di videosorveglianza, fino ad arrivare all’assurdo di installare perfino sistemi espressamente illegali.
Tutto questo viene giustificato attraverso una falsa narrativa che fa perno sulla falsa percezione di sicurezza da parte della popolazione, accuratamente prodotta e sostenuta da politici e mass media negli ultimi 20 anni. La narrativa pubblica ormai ha ossificato questa idea nella testa delle persone, che sentendosi osservate, si sentono anche più sicure.
Essere derubati o violentati per strada mentre siamo ripresi da una telecamera in alta definizione non è sicurezza. La sorveglianza, al più, riguarda l'amministrazione della giustizia (che però è sempre a posteriori).
Gli effetti della videosorveglianza
Ci sono ormai diversi studi che hanno analizzato l’impatto sulla mente umana della costante sorveglianza. I comportamenti naturali delle persone consapevoli di essere osservate vengono inibiti e modificati in modo inconscio.
In pratica, le persone che sanno di essere osservate saranno più inclini ad auto-censurare alcuni loro comportamenti naturali, proprio a causa della sorveglianza.
“The fear and uncertainty generated by surveillance inhibit activity more than any action by the police. People don’t need to act, arrest you, lock you up and put you in jail. If that threat is there, if you feel you’re being watched, you self-police, and this pushes people out of the public space.”
Questo ovviamente vale però solo per le persone perbene, coloro cioè che sono timorosi della legge e dell’autorità statale. I criminali, specie quelli violenti, per definizione se ne fregano della legge e dell’autorità statale. E quindi, se ne fregano anche delle telecamere.
Oltre agli effetti psicologici, bisogna anche tener conto delle conseguenze ben più pragmatiche sulla libertà e sul rischio di deriva autoritaria che sempre accompagna l’accentramento di potere.
I sistemi di videosorveglianza sono sempre più spesso usati in combinazione con software evoluti per l’analisi forense e altri strumenti che permettono alle forze dell’ordine di ricercare e individuare persone o gruppi di persone in tempo reale.
Ogni manifestazione e protesta potrebbe essere manipolata e controllata dai Comuni e dalle forze dell’ordine proprio grazie a questi software e ai sistemi di videosorveglianza. Abbiamo visto a Hong Kong in che modo le proteste contro il governo cinese sono state annientate proprio grazie ai pervasivi sistemi di videosorveglianza presenti in città.
La notizia positiva è che sempre più persone sono stanche di politici che decidono di riempire le loro città di telecamere, ZTL e autovelox da un giorno all'altro. Stanche di vivere in contesti che assomigliano sempre più a piccoli feudi, dove il signore locale decide unilateralmente della vita della plebe.